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Nel 1999 si inaugurano i parlamenti di Galles e Scozia. I quotidiani parlano già di crisi dell’identità inglese

In questo articolo del 1999 di Alfio Bernabei pubblicato dal quotidiano L’Unità, all’epoca organo dei Democratici di Sinistra guidati da Walter Veltroni, si analizza la decisione del governo di Tony Blair di attivare i parlamenti locali di Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Il giornalista descrive la riforma come uno stravolgimento non solo dell’assetto istituzionale del Regno Unito ma anche delle identità di ciascuna nazione coinvolta con particolare accento su quella inglese, vista come impalpabile, instabile e sull’orlo di una crisi di nervi.

E’ proprio quest’ultimo l’aspetto più interessante se si approccia l’articolo e le vicende descritte con il senno di poi. Se la sensibilità del giornalista aveva avuto modo di captare già in quella fase embrionale della devoluzione un elemento di instabilità psicologica degli inglesi è segno che il disorientamento odierno causato da brexit e referendum di autodeterminazione di Scozia e, potenzialmente, di Irlanda del Nord e Galles, ha veramente radici profonde.

Tanto più se cogliamo il passaggio in cui ci viene segnalato che le nuove assemblee parlamentari locali non avranno il potere di decisione sulla Difesa ma su altri temi potranno per contro rapportarsi direttamente con l’Unione Europea. In questo passaggio sono contenuti i prodromi politici dell’oggi.

L’articolo contiene anche altre avvisaglie di novità politiche che vedranno la luce dopo oltre un decennio: nelle citate parole dell’autore e giornalista inglese Simon Heffer rintracciamo il seme che porterà alla nascita di forze come l’UKIP – partito al quale Heffer stesso verrà ritenuto vicino -, queste sì nazionaliste nel senso più deteriore del termine.

Questo articolo quindi ci restituisce una fotografia della primavera di diciotto anni fa nella quale non ci risulta difficile riconoscerci e ci conferma come gli indipendentismi moderni che caratterizzano l’attualità politica di tutto l’occidente europeo siano effettivamente l’unico antidoto sia alla burocratizzazione  politico-finanziaria delle istituzioni del nostro continente che ai montanti egoismi protezionisti, xenofobi o semplicemente populisti. (fp)

 


L’Unità Italia Martedì 4 maggio 1999

Da ora Galles e Scozia un po’ meno inglesi

I deputati di Edimburgo e Cardiff decideranno autonomamente sui temi principali tranne la difesa. E presto entrerà in funzione l’assemblea nordirlandese a Belfast. Londra perde quota Giovedì al voto per il primo Parlamento locale

 

Alfio Bernabei

LONDRA. Cambia la mappa politica del Regno Unito. Vengono ridefinite le identità culturali di tre zone, forse quattro. È in atto una rivoluzione di poteri autonomi che costituisce la più importante trasformazione costituzionale degli ultimi trecento anni. Giovedì 6 maggio sia in Scozia che in Galles si vota per scegliere un parlamento locale.

Nascerà una nuova Inghilterra propriamente detta. Ma quale Inghilterra? È vero che rappresentanti scozzesi, gallesi e nordirlandesi continueranno ad accedere al parlamento di Westminster, ma il potere della Camera londinese si restringe. Le più importanti decisioni, tranne quelle sulla Difesa, verranno prese autonomamente dai deputati che siedono a Edimburgo e Cardiff, anche su questioni relative ai rapporti con l’Europa. Ci sono altri cambiamenti in atto. Tra poco dovrebbe cominciare a funzionare l’assemblea nordirlandese a Belfast con la messa a punto di un parlamentino pentapolitico (Council of the Isles) tra Dublino, Belfast, Edimburgo, Cardiff e Londra. In un contesto più simbolico, ma non meno importante, la Corona britannica, già in declino come fattore unificante e indebolita da progressivi fermenti di repubblicanesimo, si ritrova geograficamente e politicamente sempre più ristretta entro i confini propriamente inglesi cioè nella zona Londra-Windsor.

Questo sconquasso sta provocando sui media un dibattito sulle varie identità, sul significato, per esempio, di essere gallesi e non inglesi, inglesi e non scozzesi o viceversa, sulle radici dei nazionalismi, sulla legittimità della monarchia sulla quale nessuno ha mai votato.

I più incerti su questo dibattito sono gli inglesi. Si domandano: “Chi siamo?”. Se nei prossimi anni dovesse andare in porto l’obiettivo dei nazionalisti scozzesi (Scottish National Party) di ottenere la completa indipendenza come nazione (un simile processo di prospetta nel Galles portato avanti dal partito Plaid Cymru) gli inglesi si ritroverebbero “divorziati”, ovvero nazione indipendente. Ma ce l’hanno un’identità propria gli inglesi? Al di là dell’amore per i gatti, della totale mancanza di una loro cucina, delle tiare reali, delle tradizioni di eccentricità ed irrazionalismo, di Shakespeare e di Orwell, del thatcherismo e dell’hooliganismo, chi sono gli inglesi? Fino ad oggi l’Inghilterra s’è sentita più “britannica” che inglese, cioè espressione d un’identità composita, un po’ ambigua, cullata dal comfort di costituire la parte culturalmente dominante, meglio articolata e meglio rappresentata, più ricca, di un’unione con gli altri: Regno Unito. L’Inghilterra copre l’85% del territorio di questa unione ed è la zona demograficamente più popolata ed anche quella più ricca.

Ma questa parte del leone, dicono i vicini di casa, è stata ottenuta con la forza. È vero? La nazione britannica emerse intorno al X secolo da un insieme di diversi piccoli regni, un amalgama di celti, danesi, sassoni, normanni e decine di altri gruppuscoli. Furono gli inglesi ad ottenere il predominio prima sui gallesi e poi sugli scozzesi e gli irlandesi. Sempre con le armi, non con delle tazze di tè. Nel caso dell’Irlanda si trattò di sanguinose guerre di occupazione del tipo “otremare”, poi perfezionato dalla politica militare dell’impero, gun policy.

 

 

L’unione con la Scozia avvenne nel 1707 e per alcuni più che di nozze si trattò di stupro. Il pre-esistente parlamento a Edimburgo venne abolito. Daniel Defoe, l’autore di Robinson Crusoe, fu tra coloro che descrissero le dimostrazioni, le urla della gente per le strade di Edimburgo: “No all’unione con i cani inglesi!”. È il sentimento che è stato tramandato dagli scozzesi fino ad oggi, evocato da recenti film come “Braveheart” e ribadito appena pochi giorni fa dall’attore Sean Connery, esponente dello Scottish National Party.

I gallesi hanno sempre considerato gli inglesi dei nemici sfruttatori. In bocca ad ogni gallese c’è la storia di come furono loro, provvedendo carbone, a dare l’energia alla rivoluzione industriale e di come arricchirono i “padroni” inglesi per poi ritrovarsi ripagati dall’inglese Thatcher con la disoccupazione. Da anni gli indipendentisti gallesi vanno in giro appiccando fuoco alle “seconde case” londinesi e il massimo poeta vivente, R.S. Thomas, è celebre per i suoi versi di guerriglia anti-inglese.

La copertina di una delle edizioni del libro di Heffer

Come cultura politica, sia nel Galles, con la sua tradizione di working class, che nella Scozia, forte del suo spirito socialista con componenti spirituali, predomina la sinistra. In entrambe le zone i conservatori sono stati quasi completamente cancellati. E gli inglesi dunque, così malvisti, chi sono? Simon Heiffer, autore del recente libro “The Reinvention of England” (La reinvenzione dell’Inghilterra) commenta: “Se la Gran Bretagna cessa di esistere come entità politica, gli inglesi rischiano di non sapere né chi sono, né dove si trovano”. Osserva che ci sono due pericoli per gli inglesi davanti alla necessità di re-inventarsi. Il primo è politico: l’Inghilterra potrebbe suddividersi in una serie di regioni con ulteriore indebolimento del parlamento di Westminster. Il secondo è culturale: anche se il nazionalismo inglese non esclude nessuno né sul piano razziale, né su quello religioso e si pensa ad un’Inghilterra abitata da anglo-bangladeshi, anglo-afro-caraibici, anglo-scozzesi in realtà, insiste Heffer, l’identità inglese è quella di un popolo che è per il 92% di discendenza europea e per il 95% cristiano. Non ci sarebbe nulla di male ad identificarsi con questa realtà.

E conclude: “Non dobbiamo avere paura se gli altri si staccano da noi, ma vedere questo evento come una conseguenza naturale della democrazia. Però il governo Blair ha il dovere di aiutarci psicologicamente in questo frangente”.

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