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Le prime elezioni Caledoni dopo gli Accordi di Nouméa raccontate da Le Figaro nel maggio 1999.

A pochi mesi dalla ratifica dei trattati di Nouméa tra lo Stato francese e le forze politiche indipendentiste e anti-indipendentiste della Nuova Caledonia il quotidiano conservatore francese Le Figaro racconta ai lettori le fasi finali della campagna elettorale per il rinnovo delle assemblee provinciali e del Congresso dell’arcipelago caledone.

Siamo nel maggio 1999, il dibattito tra indipendenza e unità con la Francia si sovrappone a quello appena terminato ma ancora molto vivo tra favorevoli e contrari all’accordo dei trattati di Nouméa.

L’articolo illustra le divisioni interne agli schieramenti politici caledoni con una vena aggiuntiva di sarcasmo e impietoso giudizio sugli indipendentisti e sui loro eletti. (fp)

 

 


Le Figaro Francia Martedì 4 maggio 1999

Una votazione per una “nuova” Nuova Caledonia

Le elezioni provinciali del 9 maggio inaugureranno la futura organizzazione del territorio. Sei mesi dopo la ratifica degli accordi di Nouméa, il dibattito sull’autonomia o l’indipendenza da qui al 2015 impegna i partiti in una campagna elettorale serrata
Jacques Fleury

Nouméa. Sono passati sei mesi dal referendum che ha approvato gli accordi di Nouméa. Domenica gli elettori saranno nuovamente chiamati alle urne per eleggere i consiglieri delle tre province che costituiscono il territorio caledone, le cui funzioni corrispondono a quelle dei consiglieri regionali della Francia metropolitana.

Ma questa scelta elettorale avrà un carattere decisivo per il futuro dell’arcipelago: 54 degli 80 eletti si siederanno nel Congresso – il parlamento locale – che, per la prima volta, eserciterà un reale potere legislativo votando le “leggi locali”. Dovrà anche costituire e controllare un governo composto su base proporzionale.
Da cinque a undici ministri senza un reale portafoglio ma con reali poteri saranno chiamati, nei prossimi 20 anni a spogliare lo Stato, in parte o del tutto, dei poteri sul territorio. Una marcia forzata verso un’autonomia pressoché totale o l’indipendenza. Due soluzioni che suscitano paura, risentimento e incertezza.

Una conchiglia vuota

Infatti, se il referendum dell’8 novembre 1999 ha approvato con più del 72% gli accordi tra lo Stato, gli indipendentisti (FLNKS) e gli anti-indipendentisti (RPCR), possiamo constatare che oggi, nel momento della messa in pratica, le due principali forze politiche caledoni hanno ritrovato il loro antagonismo degli anni ’80.
I discorsi della campagna elettorale vertono nuovamente sullo scontro tra Caldoches [la minoranza di origine coloniale francese] e Kanaks [il popolo autoctono]. “L’indipendenza comincia ora, non tra 15 anni”, dice a pugno alzato Roch Wamytan, presidente del FLNKS, mentre visita le tribu: “ il tempo di abbassare la testa davanti ai coloni o nei confronti dell’amministrazione è finito”, sostiene. “Questa è casa nostra”.
Il capolista per gli anti-indipendentisti del RPCR nella provincia del Nord (a maggioranza indipendentista) France Depeu, un campagnolo che dirige con mano di ferro un grande allevamento, conduce una campagna dai toni aggressivi: “non basta fare rivendicazioni per costruire un Paese; La proprietà privata è un diritto sacrosanto; Io non cambierò né idee politiche né bandiera”.

Questa radicalizzazione del dibattito era prevedibile, nella misura in cui il “sì” al referendum comportava queste due soluzioni per il futuro.
Ma questo inasprimento del dibattito ha fatto esplodere le strutture politiche tradizionali. Circa 23 liste – per un totale di 824 candidati per 76 seggi nelle tre assemblee provinciali – sono in competizione e si impegnano quotidianamente. La giostra degli interventi è controllata minuziosamente dal Consiglio Superiore dell’Audiovisuale, i cui responsabili venuti da Parigi misurano al secondo i tempi dei passaggi dei responsabili di lista in televisione.
In questo duello organizzato anche gli indipendentisti tormentano i loro vecchi eletti. Col motto “facciamo uscire gli uscenti” hanno schierato una folla di candidati che rimproverano il FLNKS di essere sceso a compromessi con “il diavolo” RPCR. Nella provincia delle isole e nella pronvincia del Nord, governate dagli indipendentisti, questa moltiplicazione di liste porta sopratutto a squalificare gli eletti che i sono dimostrati incapaci di gestire la cosa pubblica. È vero che, dopo dieci anni, questi responsabili politiche che avrebbero dovuto “mostrare la via dell’indipendenza” si sono spesso preoccupati del loro personale benessere.
Costituiscono una sorta di nomenklatura in giacca e cravatta con la ventiquattrore e la macchina blu che li porta più nei luoghi turistici di Nouméa che presso le assemblee nelle quali dovrebbero lavorare.
Nelle due province a maggioranza indipendentista si sono moltiplicati i finanziamenti a strutture di prestigio senza un rapporto reale con i bisogni di una popolazione che aspetta posti di lavoro e provvedimenti sociali.
Questa situazione provoca, presso gli indipendentisti che sono rimasti semplici militanti di base nelle tribu, un ritorno all’ortodossia kanak, una crescita dei ragionamenti sui misfatti del colonialismo e una chiara volontà di innalzare ancor più la bandiera dell’indipendenza.
L’esperienza di un decennio di gestione provinciale ha anche rivelato che, senza i sussidi statali, l’indipendenza non sarebbe che una conchiglia vuota. La FCCI (Federazione dei Comitati di Coordinamento Indipendentista) riunisce i vecchi compagni di strada di Jean-Marie Tjibaou come François Burck o Léopold Jorédié e scommette più su un’autonomia sedimentata che su un’indipendenza conquistata troppo frettolosamente. Anche se la FCCI sogna ancora di piantare la bandiera kanak sulla Capitale, non aspira alla “sovranità unica sull’arcipelago del popolo kanak”. Predica la riconciliazione affermando che “tutti i bambini nati qui appartengono alla stessa comunità”.

 

Jean-Marie Tjibaou, leader storico dell’indipendentismo caledone

Anche tra le file anti-indipendentiste, questa campagna scava nuove trincee. Si parla di ricomposizioni politiche dettate dalla sete di potere, dell’opposizione a Jacques Lafleur, storico capofila del RPCR o del fatto che molti Caldoches sono contrari al “tendere la mano a coloro i quali si vogliono separare dalla Francia”.

Una questione di ruoli

Da mesi il vecchio capo dice che se non aspira alla pensione, quantomeno vorrebbe riposare. Queste confidenze prudentemente distillate causano delle fughe in avanti sorprendenti se non inaspettate. In questo senso Didier Leroux (UNCT) che aveva sostenuto il “no” al referendum, domenica farà squadra con i sostenitori del “sì”.
Nella lista del RPCR, Philippe Pentecost (rappresentante di una delle più antiche famiglie della Caledonia) che aveva fatto campagna contraria ai candidati del partito, torna pesantemente e finisce in testa alla lista.
Queste elezioni faranno voltare una pagina decisiva per il futuro dell’arcipelago. Se, senza aspettare i risultati delle elezioni, Jacques Lafleur ha già designato il sindaco di Nouméa Jean Lèques come primo “primo ministro” caledone, è perché vuole evitare una battaglia per la successione. Per questo motivo è occupato a gestire il FLNKS il quale, sostiene “va alla verifica dopo dieci anni. I suoi leader hanno un ruolo da giocare e ho intenzione di lavorare con loro”.
Jacques Lafleur sa bene che se i responsabili indipendentisti dovessero sentirsi in posizione di debolezza potrebbero essere tentati da nuove avventure. E Jacques Lafleur vuole chiaramente evitarle.

L’organigramma della Caledonia

Le votazioni si svolgeranno con un sistema proporzionale. Per ottenere degli eletti ciascuna lista deve superare lo sbarramento del 5%. La votazione sarà effettuata nelle tre province amministrative dell’arcipelago. La provincia delle Isole eleggerà 14 membri, 40 saranno designati dalla provincia del Sud, la più popolata, 22 da quella del Nord. Le tre assemblee eleggeranno successivamente i deputati al Congresso. La provincia delle Isole ne designerà 7, quella del Sud 32 e quella del Nord 15. Poi il Congresso nominerà i membri del governo: tra 5 e 11 ministri.

 


 

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