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Sardegna. Lavorare per morire? Lavoriamo per risanare!

iRS

La storia recente della Sardegna è pesantemente caratterizzata dall’ambivalente binomio lavoro-industrializzazione la cui unica lettura disponibile, fino a pochissimi anni fa, è stata quella data da Stato, Regione e apparato politico-sindacale che lo vedevano e lo interpretavano come una coppia assiomatica e irrinunciabile.

Questo ha generato decenni di circoli viziosi e di cortocircuiti logici fatti di ricatto occupazionale, perenni vertenze, tavoli di concertazione ciclici, scioperi e manifestazioni della speranza a Roma, disastri ambientali irrecuperabili e compromissione della salute di lavoratori e cittadini. Una spirale senza visione, dannosa e avvitata su se stessa in un’orgogliosa quanto sterile difesa di uno status quo insostenibile a tutti i livelli.

Pochi hanno avuto la lucidità necessaria per scavalcare questa impasse, che si faceva sempre più ostacolo psicologico prima ancora che minaccia sociale, elaborando e proponendo un’alternativa di proposta, oltre la protesta.

Il testo che segue è un mio comunicato del 2008 scritto per iRS che ha per titolo lo slogan coniato dal movimento nel 2003 in occasione della presentazione di due proposte di referendum contro l’importazione in Sardegna di scorie nucleari e chimiche. Non c’è da stupirsi del fatto che i temi trattati siano attuali come dieci anni fa, anche perché chiunque si avventurasse in una ricerca di archivio in emeroteca troverebbe traccia di queste identiche dinamiche sin dagli albori dell’Autonomia sarda, per non andare più lontano. Panta rei, ma mica tanto. (fp)

 


iRS Sardigna Mercoledì 19 novembre 2008

Lavorare per morire? Lavorare per risanare!

L’ottusità politico-sindacale tra lavoro, fenolo e nucleare. L’alternativa indipendentista

Franciscu Pala

SASSARI. Sembra che i politici e i sindacalisti italiani in Sardegna vivano all’interno di un tunnel senza fine che gli impedisce di trovare soluzioni logiche e virtuose. Da un lato della galleria c’è il fenolo della petrolchimica, dall’altro c’è la minaccia del nucleare.

Se nel tunnel ci vivessero solo loro non sarebbe grave. Il problema è che queste persone gestiscono il potere o hanno l’opportunità di influenzarne le decisioni. Il problema è che i politici e i sindacalisti italiani costringono a vivere nel tunnel anche i lavoratori sardi e il loro territorio ingabbiandoli nel solito meccanismo infernale alimentato dalla paura per la perdita del posto di lavoro.

Uil, Pd, Pdl, sindaci e amministratori locali si sono incontrati ieri per opporsi, in nome del lavoro e della salute pubblica e territoriale, alla decisione dell’Eni di chiudere gli impianti di Porto Torres per la produzione di fenolo e cumene. Ecco il tunnel. Ecco il ricatto del lavoro. Ecco l’ottusità.

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a scene imbarazzanti e deprimenti. Abbiamo letto di una lettera inviata dalla Presidente della Provincia di Sassari [Alessandra Giudici, ndr] al Presidente Renato Soru: “fermare la produzione di fenolo e cumene” porterà a “conseguenze devastanti sull’occupazione e sul territorio”. Bisogna “creare un comitato permanente per la chimica che garantisca a tutti di vigilare sugli interessi del territorio”.

Abbiamo visto il sindacalista UIL mettere tutti in guardia sul fatto che forse si vuol chiudere il petrolchimico per sostituirlo con il nucleare.
Abbiamo visto poi il lavoratore che, con in testa il cappellino CGIL, intervistato da un telegiornale sardo afferma: “dobbiamo continuare a produrre fenolo, per il bene della Sardegna e dell’Italia, per il bene dello sviluppo industriale”. Parole raggelanti che sono esempio e frutto del tunnel politico-sindacale italiano.

Quel tunnel ha una via d’uscita, ma per ora la vede solo iRS. Una via d’uscita libera, sganciata dagli interessi politici e sindacali, lontana anni luce da chi sostiene senza vergogna che produrre fenolo possa essere, in qualche forma, un interesse del territorio e della società sarda. Lontana anni luce da quell’apparato politico italiano che pensa di poter costruire centrali nucleari in Sardegna, magari affacciate sul Parco dell’Asinara.

È da almeno quattro anni che abbiamo lanciato il concetto “Lavorare per morire? Lavorare per risanare!”: un programma d’azione, un’alternativa al cosiddetto sviluppo fatto di inquinamento e malattie. Una soluzione semplice, ispirata a casi come Marghera e Bagnoli, ispirata a quelle situazioni in cui è possibile creare un lavoro sicuro e pulito che non serva a continuare ad uccidere il territorio e i lavoratori bensì a tentare di risanare.

Ma forse ai politici e ai sindacalisti conviene non ricordare l’inferno portato da noi alla luce con il blitz nella ribattezzata “collina dei veleni” di Minciaredda. Preferiscono non ricordare le falde acquifere della Nurra ormai irreparabilmente inquinate, i pozzi sigillati e il disastro ambientale causato da un’industrializzazione cieca, al servizio esclusivo degli interessi dello Stato italiano, mortifera per il territorio nazionale sardo e per i lavoratori sardi.

Sostenerci è sostenere chi da sempre agisce nell’esclusivo interesse della nazione sarda, del suo popolo e del suo territorio: l’unica seria alternativa alle scorie nucleari della politica italiana e al fenolo petrolchimico del sindacalismo […]. Lavorare per morire? Lavorare per risanare!

Franciscu Pala – Esecutivo Nazionale iRS 2008

 


 

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